Lucca Underground Festival Contest 2015
“The great artist of tomorrow will go underground” (Marchel Duchamp, Filadelfia, 1961)
NON
LEGGERE
di
Simone Bocci
Secondo
classificato
LUCCA UNDERGROUND FESTIVAL CONTEST 2015
“Non leggere ciò che segue. Se lo farai, la morte di un innocente graverà sulla tua coscienza. Sei ancora in tempo per salvare la sua vita. Fermati, non andare oltre. Ti macchierai del suo sangue, per sempre. Credi di riuscire a controllare il tuo istinto? La tua curiosità? Se così fosse, allora, stacca gli occhi da queste righe e torna alla tua stupida e insulsa vita. Altrimenti continua pure a leggere, ma te ne pentirai. Fa la tua scelta”.
Chuck aveva quarant’anni. A lui piaceva definirli quarant’anni di merda. Lavorava al box 211 degli uffici di una multinazionale e odiava quel lavoro. A dir la verità odiava tutto quello che faceva parte della sua vita. Odiava anche la vita stessa. La noia che caratterizzava le sue giornate lo usurpava dall’interno, annientando la sua triste esistenza di inutile essere umano. A tal proposito, non riuscì proprio a buttar via quel foglio che teneva tra le mani, quel foglio che chissà chi aveva messo sulla sua scrivania senza che lui se ne accorgesse; quel foglio che gli chiedeva di smettere di leggere se non avesse voluto ritrovarsi un morto sulla coscienza. Ma lui neanche ci pensò. E continuò a leggere.
“Se hai scelto di proseguire vuol dire che non t’importa delle conseguenze delle tue azioni. Ingrato!”.
A Chuck non gli importava un cazzo di niente. Non gli importava neanche di se stesso, figuriamoci delle sue azioni. Ora era concentrato solo su quel piccolo foglio che, in qualche modo,
gli stava regalando un briciolo di divertimento.
Che strano concetto il divertimento. Chuck non ne aveva mai provato prima. Fu proprio in quel momento che al ragazzo sulla sua destra esplose la testa in mille pezzettini, come se qualcuno avesse rovesciato il pentolone del minestrone.
Brandelli di pelle à la julienne e polpette di cervello giunsero persino sulla sua cravatta, sulla sua camicia e sul foglio che stava leggendo. Ma lui restò immobile, con un ghigno sul volto e gli occhi ipnotizzati su quelle maledette righe. Come te, del resto.
“E ora non venirmi a dire che non mi credi! Quel poveraccio è morto per colpa tua!”.
Chuck rise, rise grottescamente. Quasi in preda al delirio, mentre intorno a lui cominciava a diramarsi il terrore puro. Gente che urlava, che correva. Alcuni uffici restarono vuoti, altri diventarono trincee.
Chi aveva ucciso quel povero ragazzo? Chuck se ne fregava, rideva e leggeva. Rideva e leggeva.
“Ti concedo un attimo per fare la scelta successiva. Se smetterai di leggere e getterai questo foglio nel cestino, il tempo si riavvolgerà improvvisamente, il ragazzo tornerà in vita e la giornata continuerà indisturbata. Se procederai, qualcun altro morirà, e sarai sempre tu il colpevole”.
Chuck si leccò le labbra, abboccando i grumi di epidermide che avevano raggiunto persino la sua bocca. Poi riprese la lettura.
“Bene...”
Qualcuno urlò. Alle sue spalle, o forse alla sua sinistra. Chuck lanciò uno sguardo fugace e notò che la signora anziana che lavorava al box 199 si dimenava disperata. Aveva una matita conficcata tra la lingua e una narice, un po’
come un nuovo modello di piercing, e più provava a sfilarsela, più la matita si contorceva. Il sangue sgorgava come acqua da un irrigatore, andando a disegnare distorti murales sulle bianche pareti della struttura. Poco dopo, la povera signora cadde, sbattendo violentemente la testa contro lo spigolo della scrivania dietro di lei.
Un tonfo secco. Sulla tempia. Altro sangue.
“E siamo a due. Possiamo continuare, se vuoi, basta non
smettere di leggere”.
Chuck rise ancora, come un ragazzino artefice di una burla. Si stava divertendo. Forse era l’unico momento della sua vita in cui non era annoiato. Intorno a lui, le persone cominciarono a massacrarsi l’un l’altra, con oggetti che trovavano a caso sulle scrivanie. Erano tutti come posseduti da qualche forza sovrumana che sprigionava in loro rabbia e follia omicida. Vetri che si frantumavano, gente che volava dalle finestre, sangue che schizzava come fuochi d’artificio. Quel piano stava emulando l’inferno. Chi aveva scritto quelle parole che stava leggendo Chuck? Il diavolo forse? All’improvviso le luci si spensero e Chuck illuminò il foglio con lo schermo del suo piccolo cellulare acquistato pochi giorni prima in un discount fuori città.
“Quello che stai facendo è sgradevole! Sei un mostro! Un sadico di merda!”
Una testa decapitata cozzò sulla sua scrivania. Capelli brizzolati, fronte spaziosa. Una bella testa tonda. Chuck la scostò, come avrebbe fatto con delle semplici molliche di pane.
“Ora basta. E’ ben chiaro di che pasta sei fatto, ed è arrivato il momento di svegliarsi!”
Chuck alzò gli occhi e si riaccesero le luci in tutto il
piano. Teneva ancora quel maledetto fogliaccio tra le mani, ma ora era bianco, completamente. Intorno a lui imperava il solito noioso ordine da ufficio, e ogni traccia di sangue era
sparita. Respirò rumorosamente. Forse era sollevato dal fatto che tutto quello altro non era che un malato viaggio della sua annoiata mente, o forse era deluso che non fosse realtà. Tuttavia, quando provò a rilassarsi poggiandosi sullo schienale della sedia, si accorse che la ragazza proprio accanto al suo box afferrò un foglio sulla scrivania. Un foglio che gli apparve subito
familiare. Dannazione. Quando quest’ultima cominciò a leggerlo, infatti, Chuck avvertì un forte dolore sulle tempie, e non fece in tempo a portarsi le mani sul volto che la sua testa esplose violentemente.